NEWS DAI NOSTRI FOTOGRAFI
a cura di Diana Gianquitto
(English text below)
Gigi Viglione
Apparizioni
Mostra fotografica
Forìo d’Ischia – Giardini Ravino
Via provinciale Panza, 140 bis
dal 27 luglio al 8 settembre 2019
Opening sabato 27 luglio 2019, ore 18,30 – 21,30
Aperta tutti i giorni, tranne martedi e giovedi, dalle 9,00 alle 19.00
info: 081.997783 – www.ravino.it
www.gigiviglione.com
Catalogo edito da
Babel edizioni
Progetto editoriale
Alessandro Leone
Immagini:
Gigi Viglione – Apparizioni – Csy l’artista
Introduzione
Immagini del paesaggio quotidiano e visioni interiori sono i temi dominanti di queste
ventidue fotografie raccolte in Apparizioni. Un racconto nel mio tempo e in spazi
della mia vita, uno storyboard dal ritmo cinematografico lasciato volutamente a una
libera interpretazione, tra marine, navi, architetture di isole, fòndaci oscuri ed
improvvise luminosità, realtà deformate, volti nascosti, solitudini di corpi e altro,
dove ho utilizzato il congegno fotografico nel suo naturale ruolo di rappresentazione
del reale fino alla necessità poetica della sua scomposizione. (G.V.)
“Noi sappiamo che sotto l’immagine rivelata ce n’è un’altra più fedele alla
realtà, e sotto questa un’altra ancora, e di nuovo un’altra sotto quest’ultima.
Fino alla vera immagine di quella realtà assoluta, misteriosa, che nessuno
vedrà mai. O forse fino alla scomposizione di qualsiasi immagine, di
qualsiasi realtà” (Michelangelo Antonioni)
Contributi:
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Ceci n’est pas une pipe. E questo non è un libro né tampoco un catalogo di fotografie.
In pieno terzo millennio pubblicare un libro può, a buon diritto, essere definito un
coraggioso gesto di resistenza umana; pubblicare un libro di fotografie qualcosa di
simile a un’azione eminentemente rivoluzionaria; pubblicare un libro difotografie
realizzato amorevolmente con cura artigianale, un’impresa che ha del prometeico.
Potrebbe più comodamente essere definito, rovesciando un luogo comune da new age,
un atto di gentilezza per nulla a casaccio e assolutamente pieno di senso: ma se si
dovesse incontrovertibilmente trovare una definizione per questo oggetto esso può a
buon diritto essere indicato come un’eterotopia. Perché, come essa, spezza e
aggroviglia i luoghi comuni, perché a minare il linguaggio e a devastare la sintassi
non sono solo degli spazi, i cimiteri, i manicomi, le camere d’albergo e i treni ma
anche delle idee. Come quella che avete tra le mani: un ircocervo, la chimerica
assurdità di un oggetto raffinato ma per niente lezioso, curato ma senza affettazione
alcuna. L’oggetto insueto che state sfogliando potrebbe banalmente essere uno
spicilegio di immagini sparse e, se lo si dovesse descrivere a chi non l’ha ancora
maneggiato, essere confuso distrattamente con uno dei tanti volumi paludati adatti
alla preclara funzione di essere disposto in maniera acconcia su un tavolino da caffè
già onusto di altri inutili tomi. È invece, più ambiziosamente, il primo esperimento di
un modo di fare le cose, del tentativo di connettere sensibilità diverse ma non
divergenti, gli entusiasmi differenti di fotografi, grafici, narratori, di sperimentare
interazioni tra modi eterogenei di raccontare, dello sforzodi trovare una sintesi tra
contenitore e contenuto.
Osservando queste immagini ci si accorge che di tutto c’era bisogno a corredo di esse
tranne che di un inutile parergo, di una digressione sulla storia che raccontano questi
scatti, lasciando semmai il compito a ogni spettatore di ricostruire una delle infinite
possibili storie, reinterpretando all’infinito in maniera gustosamente combinatoria la
propria sequenza, la propria narrazione, il proprio racconto. Appropriandosi di una
materia che non deve essere guardata con deferente e distaccato ossequio: ma come
un partecipe, appassionato, intenso, salutare, insopprimibile, gioioso, libero,
entusiasta, felice gioco. Per definire il quale ho usato nove aggettivi: gli stessi che un
piccolo francese alla ricerca di un tempo perduto, usava per descrivere il lift del Grand Hotel di Balbec.
Divertitevi a trovarne altrettanti per raccontare ciò che vedrete.
Diego Nuzzo
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APPARIRE E TEMPO – lo scatto filosofico di Gigi Viglione
Il pittore Georges Braques affermava che l’arte è una ferita che si fa luce. Nelle foto
di Gigi Viglione, invece, è la luce che si fa ferita. Ferita a morte.
La morte e il tempo sono temi centrali, costitutivi della fotografia: si scatta al presente
per tramandare il passato al futuro. E per citare quello che è stato forse il filosofo più
importante e controverso del ‘900, Martin Heidegger, il futuro esprime l’orizzonte
temporale più proprio e caratteristico dell’uomo. È infatti con una decisione
anticipatrice, secondo il filosofo tedesco, che l’essere umano si apre agli aspetti più
reali e autentici della sua esistenza: l’Esserci e l’Essere-per-la morte. Ma questa
decisione, presa al presente e proiettata nel futuro, proviene dal passato, dall’essere
stati gettati nel mondo, proprio come le persone, i singoli Esserci, e gli oggetti, gli enti
utilizzabili ma spesso inutilizzati, ritratti da Gigi Viglione.
L’essere nel mondo, l’Esserci di Heidegger è un trascendere attraverso
l’autoprogettazione. Epperò, nelle foto di questa mostra, se progetto c’è stato, è,
appunto, al passato, un passato costellato di participi: una piattaforma protesa sul
mare, un ombrellone chiuso sulla spiaggia, un fondaco che ha perduto la sua funzione,
un traghetto salpato, palme che qualcuno ha piantate, architetture già edificate,
seggiole impilate dentro e fuori le chiese e i resti di una sedia di plastica abbandonati
sulla sabbia, un volto femminile stampato su un manifesto affisso…
Ma mentre l’analitica esistenziale di Heidegger pretende di studiare la realtà umana
nella sua struttura, per Gigi Viglione la struttura della realtà e dell’uomo sono
inattingibili e la sua fotografia si “autolimita” alle apparizioni, laddove il “limite” è la
vera condizione umana, come le Sacre Scritture e la mitologia greca ci hanno insegnato.
Apparizioni s’intitola la mostra. Ma tanti sono anche i nascondimenti: il buio della
notte che oscura il mare; nuvole che offuscano l’orizzonte; il riflesso di un vetro che
impedisce di vedere al di là e un manichino che latita sul margine dell’inquadratura,
parandosi davanti a un altro; un muro che cela delle tombe; un pavimento di
mattonelle esagonali bicolori occulta la rigida divisione controriformistica tra bene e
male; un telo teso ad asciugare che vela l’interno di una loggia procidana; la cortina di
un ristorante che ripara i clienti dalla curiosità, propria e altrui; un poster che tappezza
una porzione di muro con uno dei paesaggi partenopei più celebri. Un paesaggio che,
per casuale simbolismo, si offre lacerato all’osservatore. E, ancor più simbolicamente, il lacerto mancante è in alto a sinistra.
Delle due scelte esistenziali che Heidegger pone all’uomo, conquistare sé stessi nella
propria autenticità o immedesimarsi nel mondo perdendosi nella banalità quotidiana e
scadendo nell’anonimia, è la seconda opzione che sembra prevalere in queste foto di
luoghi senza persone e di persone senza volto.
Forse solo una fa eccezione, quella che riprende di schiena una ballerina tra le braccia
di un uomo, l’unica che ritragga più di un soggetto umano in un unico scatto, l’unica
che trasmetta vigore, anziché vuoto, incertezza, attesa, dismissione, abbandono. Forse
perché, per progettare e progettarsi, il singolo individuo non basta, è necessaria una
pluralità. Come avverte il poligrafo Guido Ceronetti: ‹‹Uomo, da solo sei fango, in coppia sei tango!››.
Singolare e plurale sono due binari esistenziali paralleli tra i quali siamo sempre
chiamati a decidere, ma entrambi immettono in un tunnel, come icasticamente ci
rappresenta uno degli scatti di Viglione. L’Esserci contemporaneo, però, pare aver
perso la capacità della scelta anticipatrice: esita, si ferma, si blocca tra l’uno e il due,
finendo, proprio come L’Angelus novus di Walter Benjamin, col dare le spalle al
futuro. Ulteriore testimonianza che la temporalità è l’orizzonte su cui si staglia la
visione fotografica di Gigi Viglione, e, forse, della fotografia tout court.
Martin Heidegger lascia deliberatamente incompiuta la sua opera, Essere e Tempo.
Perché il linguaggio… problema fondamentale di cui ne va la possibilità stessa della
filosofia di salvarsi dalla chiacchiera e dall’equivoco, …il linguaggio non basta. La vera parola umana è il silenzio.
E muta è la fotografia. Muto, o quasi, il cinema di Michelangelo Antonioni, che ha
fatto dell’incomunicabilità la sua poetica e, con mirabile coerenza, il suo destino
finale. Un maestro dell’immagine il cui pensiero e la cui prassi hanno, almeno in
parte, ispirato Gigi Viglione per questa mostra, scandita da sequenze. Un pensiero
che, proprio come quello heideggeriano, ‹‹abbandona la soggettività per orientarsi
verso la luce dell’Essere››.
Anzi, dell’Apparire.
Elettra Carletti
(English text)
Gigi Viglione
Apparizioni
Photographic exhibition
Forìo d’Ischia – Giardini Ravino
Via provinciale Panza, 140 bis
27.7.19 – 8.9.19
www.ravino.it
www.gigiviglione.com
Images of daily landscape and intimate vision in 22 shots.
A free storyboard, in which
the photographic tool starts from its natural realistic power but arrives to its poetical
decomposition.
Catalogue edited by Babel edizioni
Editorial Project
Alessandro Leone
Texts by Diego Nuzzo, Elettra Carletti, Gigi Viglione.
Images:
Gigi Viglione – Apparizioni – Csy the artist